Feb
7
2016
Credo che la pagina evangelica (Lc 5, 1-11) di questa domenica abbia una rilevanza particolare per la storia della Chiesa e per il ricordo che ciascun cristiano è chiamato a tenere nel cuore.
Si tratta del racconto della “prima ora” dei discepoli quando, cioè, è arrivato Gesù nella loro vita. Ritengo, a tal proposito, che Francesco il Vescovo di Roma, quale successore di Pietro, abbia tenuto conto proprio di questa pagina, così come il racconto giovanneo della stessa scena vissuta dopo la Pasqua, per indire il Giubileo della Misericordia quale esperienza di memoria comunitaria del sentimento di Dio.
Anche l’evangelista Luca, nel raccontare i particolari di quell’incontro, ha innanzi a sé una Comunità che sperimenta la fatica di ogni giorno e che va rincuorata nell’alzarsi dopo le cadute, facendosi forte della compassione di Dio. Lo sappiamo bene, non basta lo slancio umano nel seguire Gesù, è necessaria l’azione della Sua grazia per mantenersi fedeli a quella chiamata.
Ora troviamo Gesù che attraversa le sponde del lago di Gennèsaret e la folla che lo ascolta e gli fa ressa intorno. Scorgiamo, al contempo, un contesto ordinario in cui si svolgeva la vita lavorativa di quel luogo: pescatori che salpavano ed attraccavano dopo una notte di pesca. Poi il duro lavoro di pulizia ed il riordino delle reti e quindi il meritato riposo. Solo che in quella notte la pesca non aveva portato nulla, tanto lavoro e nessun frutto.
Gesù si inserisce in questo ritmo quotidiano, fatto di fatica ed errori, oltre che di gioie e successi. La folla è affamata della sua parola, lo preme e questo non consente un buon ascolto, magari sgomitano per farsi più vicini e quanti sono a distanza non possono sentire la voce del Maestro. È quel che succede quando il rapporto con il sacro è più legato ad una brama personale che ad un senso comunitario, quando anche nel rapporto con Dio l’individuo resta egocentrico, prega per sé ed i suoi bisogni non tenendo conto dell’umanità che lo circonda.
È pertanto che Gesù prende le distanze, sale sulla barca per allontanarsi un po’ in modo da essere ascoltato da tutti. È dall’ascolto che bisogna partire per costruire la relazione con Dio, finché saremo pieni dei nostri bisogni Lui non avrà spazio per nutrire le nostre vite. L’ascolto nutre il desiderio, fermarsi al bisogno significherebbe nutrire una continua dipendenza senza scoprire il valore che ciascuno porta dentro.
L’immagine della barca, oltretutto, ci rimanda alla Chiesa attraverso la quale è possibile ascoltare e discernere, accogliere la Parola ed i Sacramenti. La barca, in questo modo, permette di attraversare il mare della vita per andare all’altra riva. La traversata è solo strumentale, la vita è orientata al paradiso, il mare non è fatto per viverci e la barca permette di non andare a fondo.
È spazio di comunione la barca, non si è soli ed è necessario l’ausilio dell’altro: se rema solo uno da un lato la barca gira su se stessa, o se uno dispiega le vele è importante che l’altro regga il timone. La barca, al contempo, non è luogo di chiusura, da essa si calano le reti per arrivare fino in fondo e tirare fuori.
È così che Gesù dopo avere annunciato la Parola chiede ai suoi discepoli di andare al largo per pescare in profondità. Accogliere la Parola di Dio è necessario per maturare nella fede, la Parola è Luce e la fede è consegnare tutto a questa Luce accolta nel profondo del proprio cuore.
Gesù annuncia la Parola e poi chiede ai pescatori di andare al largo, con Lui, e pescare in profondità. Loro avevano lavorato tutta la notte ma senza pescare nulla, ma dopo avere ascoltato Gesù sono capaci di una risposta che va aldilà della logica umana.
Non è il momento favorevole e dopo il tentativo già fatto è ancora meno auspicabile riprendere le reti, (appena lavate) per uscire fuori e tornare a pescare! Eppure la risposta di Simone è eloquente: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».
Dinanzi alla pesca sovrabbondante Pietro si scopre indegno di tanta grazia, chiede a Gesù di allontanarsi a motivo del proprio peccato ed è lì che Cristo gli consegna la sua nuova missione: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
Con la missione cambia anche l’identità di Simone che inizierà a chiamarsi Pietro, ed è quello che accade ad ogni cristiano, la missione per cui ci spendiamo trasforma la nostra vita, il servire permette di sperimentare come Dio continua a servirci donando pienamente se stesso. Ancora una voltala ferita del peccato viene trasformata in feritoia di grazia, la fragilità umana diventa l’occasione per lasciarsi sostenere dalla presenza di Dio. Pietro sarà man mano trasformato dal legame che Gesù manterrà con lui nonostante il suo ripetuto peccato: scoprirà che la Misericordia di Dio ha sempre l’ultima parola.