Apr
29
2012
In questa quarta Domenica di Pasqua il Vangelo ci porge l'immagine del Bel Pastore. Un'immagine che risponde al bisogno profondo che ogni essere umano porta dentro: il bisogno di relazioni autentiche, vere e non di convenienza, fondate sull’amore per sempre e non sul breve termine.
Le ferite più profonde sono proprio quelle che scaturiscono dai legami spezzati, dal mancato riconoscimento/rifiuto dell’altro. E questo è ancora più doloroso se accade quando c’è bisogno di un appoggio, di un sostegno da parte dell’altro a motivo della propria fragilità. Ricordo ancora il dolore di una donna che è stata abbandonata dal proprio sposo dopo che hanno scoperto la grave malattia da cui lei era affetta. Si, nel momento in cui il legame ha un peso maggiore, è proprio lì che si ha maggior bisogno di sostegno.
È il dramma di molte famiglie che si sfasciano quando si attraversa una crisi, o di altri che rinunziano a vivere quando si sentono sovraccaricati dalla loro esperienza di vita. Anche il fenomeno depressivo sarebbe riconducibile ad un mancato appoggio e alla soluzione di ripiegarsi su se stessi per trovare un minimo contatto e sostegno di cura.
Tornando all’immagine evangelica, il racconto del bel Pastore svela questa profonda verità: la vita non abbisogna di mercenari eppure l’umanità sembra andar dietro proprio a chi vende riconoscimento a prezzo di qualcosa, a chi elargisce amore condizionato, “se sei” o “se fai” vai bene!
Conosco il dramma esistenziale di molti adolescenti che alla ricerca dello sballo, per non sentire il travaglio esistenziale o per sentire altro, non sono più liberi di vivere senza qualcosa che da appoggio è diventata una vera e propria schiavitù.
L’umanità sembra aver perso la fiducia nella gratuità dell’amore, forse anche per questo fa fatica a riconoscere vero l’annunzio dato da Gesù. Lui si mostra come pastore che custodisce il gregge andando avanti e custodendolo dai lupi. Questo è il nodo dell’amore: credere in questo tipo di amore significa compromettersi totalmente. Intendo dire che normalmente siamo abituati a vedere pastori che stanno a spingere, a fare pressione alla vita di altri ma che non vanno in avanscoperta, mandano semmai i cani, ma stanno dietro il gregge per ripararsi da eventuali aggressori e magari avere il tempo di fuggire. Il Pastore che sta innanzi è quello disposto a farsi ferire ed anche, se necessario, a dare la propria vita. Questo significa custodire l’altro. In fondo Gesù sta dando finalmente risposta all’insoluto interrogativo posto da Caino, e che attraversa la storia dell’umanità di tutti i tempi, dopo avere ucciso il proprio fratello: “Sono forse io il custode di mio fratello?”
È proprio questo il punto, siamo chiamati a custodire l’altro che ci è affidato, non possiamo abbandonarlo lasciandolo morire. Accettare che qualcuno può amarmi fino a dare la vita per me significa accettare che anche io possa fare lo stesso per il prossimo. È per questo che il cristianesimo si oppone ad ogni logica individualistica, ad ogni sorta di potere di pochi che va a discapito di altri. La vita viene intesa come VOCAZIONE perché chiamata ad uscir fuori, a non vivere da ripiegati in se stessi. Il metro non è più la mera convenienza come a dire “non mi conviene più…”, come se il non perderci qualcosa possa determinare le scelte della vita. È vero proprio il contrario per scegliere devi perderci qualcosa, il tuo Si comporta tanti No quotidiani, è il buon combattimento della fede.