Nov
15
2015
La follia omicida di un gruppo di terroristi viene ancora una volta a ferire, è grande il dolore nel vedere le scene di fuga di gente che scioccata cercava di mettersi in salvo. Quanta barbarie nell’agire dell’uomo, quanto male può abbuiare la dignità di un individuo. Ma il male non può sopraffarci, il timore non può prendere il timone della nostra storia, la paura della morte non può dominare il valore della propria vita.
Ma la venuta di Gesù diventa partecipazione alla vita dell’umanità “per liberare quelli che per paura della morte erano soggetti ad alienazione per tutta la vita” (Eb 2, 15). È così che l’uomo viene disarmato da quella pretesa di garantirsi la vita attraverso l’autodeterminazione a prezzo del dominio sugli altri, sempre che accetti la visita di Dio dandogli il permesso di entrare nella propria vita.
Il popolo francese così come quello siriano e le tante vittime del terrorismo basato sull’ideologia religiosa, abbisognano della solidarietà della comunità umana e della preghiera, estremo atto di affidamento al Signore della storia e della vita.
Reagire col terrore equivarrebbe ad affidare la propria vita in balìa del nemico di turno, rimanere saldi nell’amore significa poggiare la propria vita ancorati a Cristo. Da ogni ferita che viene inflitta alla Chiesa (e così è per ogni creatura che viene svilita) non può che scaturire misericordia, così come dal fianco squarciato del Cristo crocifisso scaturisce il lavacro che rigenera per l’eternità.
Il Vangelo di questa domenica (Mc 13, 24 - 32) ci mostra, proprio, uno scenario che sembra attraversare la sofferenza del popolo, il buio che oscura la terra, anche il sole è venuto meno. È vero viene annunciata la fine della scena di questo mondo, il dissolvimento di quanto pare imperituro ma, al contempo, viene rivelato il fine vero del mondo, il fine verso cui tende la storia dell’umanità.
Tale cambiamento è in vista di una luce nuova e il cristiano è chiamato a vedere gli eventi della storia come un momento che non costituisce l’ultima parola, quella spetta a Dio!
La vita è segnata sì dal passaggio di tutte le cose ma anche dalla continuità della presenza del Signore. È la relazione con Lui a dare continuità alla propria storia: dal concepimento al compimento.
Se da un lato il distacco può essere vissuto nella profonda solitudine immersi nel dolore, dall’altro è possibile attraversare anche la morte accompagnati da Cristo, illuminati dalla sua presenza. L’esperienza di fede costituisce proprio questo profondo legame, un essere legati nel cammino e che, pertanto, non è mai una dimensione statica.
Quando si ferma, la fede diventa religione, formalismo ed opera volta alla autocelebrazione. La fede invece porta oltre, è desiderio di Dio che incontra il desiderio dell’uomo e che non si ferma ad esso. Diceva Bonhoeffer che Dio non risponde al desiderio dell’uomo ma alle Sue promesse. E ciò perché la Sua promessa è ancora più grande, supera ogni umana aspirazione, in quanto dona pienamente se stesso e la comunione alla Sua vita. È questo il giudizio di Dio, è questa la promessa fatta ad Abramo e che abbisogna delle fiducia dell’uomo affinché possa avere pieno compimento.
Diversamente, l’uomo che si chiude nella religione si costruisce un dio a propria immagine, lo piega alla sua volontà, imposta la religione come una sorta di sforzo per dimostrare bravura e perfezione. È la religione delle opere propria dei farisei e fondamentalisti di ogni tempo, gli stessi che giudicavano Gesù perché troppo misericordioso verso quanti non meritavano la sua vicinanza.
Oggi celebriamo Eucarestia perché è con Cristo che siamo impastati, quel pane azzimo si unisce alla nostra offerta e l’Eucarestia nasce dalla consegna di un popolo che abbandona il lievito vecchio (quello della forza e del peccato di un tempo), per lasciarsi nutrire e sostenere dal Dio debole e misericordioso. Lui che donandosi totalmente fa nuove tutte le cose e rende la vita di ciascuno realmente feconda.