Dec
13
2014
L’Evangelizzazione scaturisce dall’avere accolto la Luce che ha illuminato le nostre vite e proprio il Vangelo di questa III Domenica di Avvento ci rimanda al senso di questa esperienza.
Si, è un chiaro invito a riconoscere chi siamo e chi è Dio che si rivela a noi. Chiarificare la propria identità permette di aprirsi al Signore con fare nuovo,infatti, più ci si confonde in merito a chi siamo e più è difficile volgersi al Creatore.
Giovanni dà testimonianza alla Luce, è questa la prima identità dell’uomo: ricordare la Luce. È proprio bella questa espressione in quanto la Luce rappresenta l’amore di Dio, il suo donare vita, il suo relazionarsi con misericordia. Ricordare la Luce, con la propria vita, equivale ad attestare di essere dono, di essere desiderati e, nel caso specifico, frutto di un amore disinteressato che vuole dare dignità fino al Cielo stesso: sentirsi riconosciuti quali figli.
Il Testimone, inoltre, non “afferra” la Luce ma la accoglie per rivelarla, cioè non si impossessa del dono ma lo lascia vivere. In realtà soffocare la Luce sarebbe impossibile, chi vive nel buio se accogliesse la Luce ne sarebbe immediatamente illuminato, piuttosto reagisce con ostilità alla Luce perché essa disturba!
Sembrerebbe che Giovanni viene interrogato sulla sua identità proprio per “catturarlo” e deciderne la sorte. Morirà, infatti, proprio perché renderà testimonianza alla Luce annunciando la verità. Giovanni risponde, innanzitutto, dicendo chi non è: né un profeta, né Elia, tantomeno il Cristo. Non vuole appropriarsi del dono ma rivelarlo, come a dire che non sarà lui a liberare o consolare il popolo d’Israele. Orienta, piuttosto, l’aspettativa dell’uomo e permette, a chi ascolta, di trasformare l’aspettativa in desiderio.
L’aspettativa, in questo senso, è propria dell’uomo emotivo disposto ad idolatrare chi gli dà compiacimento o protezione, l’uomo che brama possesso e garanzie per controllare la propria vita; è la persona avida che pretende di accumulare dentro di sé. Il desiderio, invece, appartiene a chi si sente in cammino, all’uomo che riconosce il proprio limite e, al contempo, la possibilità di superarsi poggiando la propria vita nell’Altro. È la persona aperta alla relazione e disposta a mettersi in gioco perdendo qualcosa di sé, accettando la precarietà di ogni giorno.
Giovanni è “voce di uno che grida nel deserto”, Isaia (40, 3) indicava con questa espressione il grido di chi invita a non rassegnarsi nonostante le proprie colpe. Isaia invitava il popolo in esilio a tornare a sperare nel Signore che avrebbe liberato, e a desiderare una nuova libertà, una nuova legge fondata sulla giustizia e sulla misericordia di Dio. Giovanni non si arrende innanzi alle logiche dei potenti, la sua vita è desiderio e, pertanto, denuncia della realtà.
Il desiderio ci porta a tradire la realtà rassegnata, è un cercare altro, una via nuova che non è riconducibile alla trasgressione (un errato modo di rispondere al desiderio) ma è la via della giustizia, della verità, della libertà. È per questo che Giovanni manterrà vivo il desiderio anche quando si troverà ingiustamente carcerato.
Lui battezza per favorire questa via di liberazione in ogni essere umano, il suo battesimo è un immergersi nel profondo del proprio essere, cioè un ammettere la propria povertà andando fino in fondo per poi riemergere con un rinnovato atto di fiducia in Dio. È questa via, preparata da Giovanni, che Gesù percorrerà con il suo lasciarsi battezzare. Sembrerebbe una gara, tra i due, volta ad una Testimonianza sempre più grande: Gesù mettendosi in fila con i peccatori ed immergendosi nel Giordano, rivelerà la sua missione, mostrerà il Volto del Padre e il suo desiderio di misericordia per l’umanità intera. È questo il senso del battesimo di Gesù, immergendosi arriva a toccare i meandri di ogni essere umano, sarà un’immersione simile al patibolo della Croce dove, anche lì, si calerà negli abissi della creatura per poi tirarla fuori con il suo perdono e con il dono della sua stessa vita.
Una logica nuova viene rivelata da Giovanni: è quella della “possibilità” di Dio. Per i farisei ed i sadducei che stanno attorno a chiedere, sembrerebbe che l’ostacolo alla venuta del Messia o, comunque, i problemi di Israele, fossero principalmente legati alla presenza dei romani. Pertanto, essendo questo l’ostacolo principale, andava trovata una soluzione a quel problema.
Giovanni invece dice della necessità di accogliere la presenza dell’Agnello in noi, la possibilità che ciascuno ha di essere liberato così come avveniva per il rito di espiazione durante lo Yom Kippur, giorno di espiazione di ogni peccato. L’unico ostacolo per Giovanni è la resistenza dell’uomo che rifiuta d’immergersi, di riconoscersi per quello che è e di affidarsi al Dio liberatore.
Sembrerebbe che anche la realtà contemporanea soffra lo stesso male: si individuano problemi che diventano patrimonio comune, non solo dei media ma anche dei discorsi quotidiani tra la gente, e questo nutrimento viene a spegnere i desideri e le speranze di cambiamento.
L’umanità che si rassegna, assecondando questa logica di menzogna, cade in un torpore spirituale. La realtà vista così parcellizzata, perde la visione d’insieme: quella illuminata dalla Luce di Cristo.
Ora, la Parola di Avvento viene a ridestare i cuori e a rimetterci in cammino verso la meta.