Jan
1
2016

La responsabilità di generare

        È un gesto di affidamento fiducioso il cominciare il nuovo anno con la celebrazione della solennità di “Maria Madre di Dio”. Prima di tutto il titolo mariano ci dice la grandezza di Gesù, Lui è Dio ed è per questo che Maria assumerà tale attributo e, in secondo luogo, indicarla quale “Madre” mostra la ricerca, in lei, di orientamento per la propria vita.

       Maria, ci rendiamo ben conto, non è stazione di arrivo, lei è “stazione di passaggio” cioè mediatrice che porta al Signore e rigenera alla vita di misericordia.

       Nella prima lettura (Num 6, 22-27) nella benedizione che Mosè dovrà consegnare ad Aronne, troviamo espressa la necessità di trovare il “volto” di Dio.  È un testo molto caro anche a San Francesco di Assisi in quanto indica la fonte ove trovare felicità piena per la propria vita. È dal volto di Dio che si riceve nutrimento e custodia, ed è costruendo questo legame che si trova la pace del cuore. La benedizione è sorriso di Dio, riconoscersi guardati ed accolti dalla sua presenza. È questa l’esperienza che Maria farà fin dal concepimento di Gesù, ricordiamo come le parole del magnificat esprimono questo sentirsi guardata e profondamente amata dall’Onnipotente.

      Maria è “donna” come ci ricorderà il Vangelo, per cui attraverso di lei Dio, davvero, si chinerà sulla creatura consegnandosi alla precarietà umana. Se in una persona può incarnarsi Dio, allora, il cristianesimo crede che la specie umana ha una dignità straordinaria in quanto di Lui è resa capace.

      Maria concepirà il Cristo accogliendo la Parola di Dio. Questa è sempre una proposta per la propria esistenza, una provocazione che dona una direzione, un orizzonte  da accogliere e verso cui camminare. 

     Maria è madre per cui stabilisce una relazione ben precisa con il Signore, lei è custode, nutrice e innamorata del dono che ha ricevuto. Entrare in relazione, sappiamo bene, significa uscire da se stessi per fare spazio all’altro e la custodia è l’atteggiamento relazionale, proprio, di chi sente la responsabilità dell’altro così come ci ricorda san Paolo: «Nessuno vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso» (Rm 14,7).

      La celebrazione d’inizio d’anno ci mostra per chi vive Maria, come a ricordarci l’importanza dei nostri giorni ed il senso che quotidianamente siamo chiamati a darvi. Per cosa sto spendendo la mia esistenza? Chi nutro e cosa amo? Sono le domande necessarie per discernere quale battaglia regge la propria vita e quale causa si sta difendendo.

     Sovente incontriamo persone pretestuose che attaccano briga per ogni cosa ma che, di fondo, cercano di nutrire il proprio ego. Maria e Giuseppe, piuttosto, li troviamo in silenzio, lì a contemplare e custodire la scena che sta attraversando la loro vita. Loro ci mostrano quanto importante sia resistere all’occasione offerta dal male e restare a spendersi per la “buona battaglia”. Avrebbero potuto, infatti, fare questioni per la mancata ospitalità o per le difficoltà del momento, eppure li troviamo lì meravigliati dall’agire divino.

       La pagina del Vangelo (Lc 2, 16-21), infatti, racconta dei pastori che senza indugio vanno e trovano Maria e Giuseppe con il bambino adagiato nella mangiatoia. Una scena che in parte si sottrae alle indicazioni ricevute dall’angelo: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». Mancano le fasce che avvolgono Gesù, come se l’evangelista Luca volutamente avesse indicato quel che non sarebbe stato comprensibile in quel momento. Le fasce, infatti, rimandano al corpo inerme di Gesù che sarà avvolto dopo la crocifissione. Ancora è presto per aprirsi a quel compimento che abbisognerà, prima, di un lungo percorso che dall’accoglienza operata dalla famiglia di Nazareth arriverà all’evangelizzazione per le strade della Galilea e a Gerusalemme.

        Solo dopo sarà comprensibile il senso dell’incarnazione: amare sino alla fine per generare a nuova vita l’umanità intera.

       Maria, troviamo, serba tutte quelle cose “componendole” nel suo cuore. Lei vede ed ascolta e con questo atteggiamento di custodia si preparerà al nuovo parto quello che avverrà ai piedi della Croce quando Gesù la consegnerà alla Chiesa: «Ecco tua madre». È così che l’ “amare sino alla fine” si spingerà ad un punto estremo, quello di consegnarci sua madre.

         Credo che la relazione che Gesù abbia vissuto nel rapporto con Maria sarà stata la più intima e profonda, simile a quella che, dall’eternità, viveva con il Padre. Ciò ci fa intuire la portata di questo gesto ultimo: consegna di se stesso totalmente affidato al Padre e consegna totale della Madre all’umanità. È così che sulla Croce, nel  perdersi e nel perdere, l’Amore trova compimento.

         Per prenderci con sé Maria dovrà lasciare consegnare il Figlio. È impressionante questo misterioso scambio, lei rinuncia a tenere per sé Gesù per accogliere tutti i credenti. Per questo, oggi, la possiamo venerare quale “Madre di Dio”, è tale perché simile nell’Amore.

         Questa maternità si apre alla Chiesa per cui al primo titolo si accomuna il secondo di “Madre della Chiesa”, lei permette alla Chiesa di continuare a generare il Cristo. Maria accoglie la consegna di Gesù a nome di tutta la Chiesa e se da un lato il “si” di Maria ci rende capaci di generare, dall’altro il “no” egocentrico dell’uomo inaridisce il mondo.

         Ecco la responsabilità cristiana, il credente è il luogo attraverso cui si manifesta il sorriso di Dio ed il suo agire misericordioso. Dirà Gesù: «Dove sono io là sarà anche il mio servo» (Gv 12), custodia e servizio diventeranno un tutt’uno in Maria, così Lei continua a mostrarci come il Dono ricevuto va vissuto da discepoli e non da detentori. 

 

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