Jun
26
2016
La qualità di vita di una persona la si riconosce dalla meta che persegue e questa definisce le priorità che si prefigge, ciò che davvero conta nel cammino. È così che in questa domenica ci viene presentato un passo evangelico (Lc 9, 51 - 62) in cui troviamo Gesù rivolto decisamente verso Gerusalemme.
Non si tratta solo di una connotazione geografica ma di un movente che spinge il quotidiano, malgrado le tante difficoltà, a perseverare fino in fondo. Proprio lì, a Gerusalemme, Gesù troverà lo scontro più grave con la religiosità del tempo.
È un grande travaglio questo perché la religione avrebbe dovuto accompagnare e sostenere il popolo nell’ascolto di Dio guardando il quotidiano alla luce della Sua Parola. Eppure, di fronte a Gesù la religione d’Israele si afferma come opposizione, scontro con il volto del Padre che Lui man mano stava rivelando.
Il Vangelo di Luca concluso il lungo discorso della montagna ora attraverso i gesti di Gesù sta rivelando il Volto, quello tenero e misericordioso, di Dio. Anche i samaritani si oppongono, anzi lo hanno appena rifiutato tanto da leggere, oggi, la reazione cruenta dei discepoli. Quel popolo era fin troppo abituato ad un’immagine di Dio miracolistica, connotata da prodigi straordinari e Gesù rivelava ben altro: un Dio che cammina impolverandosi nelle strade e nelle vicende dell’umanità era troppo ordinario da potere essere preso sul serio!
È così che l’umanità di tutti i tempi oscilla nella ricerca di un Dio che detta regole e precetti così come intendevano scribi e farisei, oppure un Dio magico che utilizza i suoi poteri per dare parvenza di felicità e forza a chi a lui si sottomette.
Nel primo caso l’uomo è reso schiavo della Legge e, osservando questa, crede di rabbonirsi dio come se lui si facesse pagare prima di chinarsi sulla creatura. Quest’uomo ben presto diventa rigido e rigoroso verso se stesso e verso gli altri, assume una sorta di potere che lo fa giudice e “giusto”. All’opposto chi va in cerca di miracoli non si assume la responsabilità della vita quotidiana, cerca continue fughe in cerca di felicità. È l’uomo di superfice, emotivamente attivo, ma che finisce con lo spegnere il desiderio che muove verso una meta.
Gesù è “con il volto indurito” in cammino verso Gerusalemme, non gli importa il plauso ma di mostrare un modo nuovo di stare nelle cose della vita. A volte le tempeste e i tanti impedimenti potrebbero scoraggiare, e questo accade nella misura in cui non si volge più lo sguardo verso Dio, Gesù rivela che c’è un Padre che si prende cura e mostra la Via per andare oltre, passare attraversando le vicende della vita. La questione critica è che l’individuo resta isolato, si chiude in se stesso e, a quel punto, il carico diventa insostenibile. Ci rendiamo conto che oggi la società dei consumi cerca proprio di ostacolare questo sguardo che permette una relazione liberante, l’osare della fede si traduce, infatti, nel difendere fino in fondo i propri sogni. È per questo che il credente è uomo scomodo, uno che con la sua sola presenza denuncia la menzogna che orienta il cammino di molti, è memoria di una verità che mette in crisi e proprio per questo deve essere assopita.
Quando è la paura a reggere l’orizzonte di cammino si vive come da schiavi, si ha timore a mettersi in discussione forse perché non si regge il confronto con la sofferenza, tanto si è legati a quella falsa immagine di sé, anche se lascia insoddisfatti e profondamente tristi. È l’uomo che ha timore della sua fragilità, tanto è stato indottrinato a dovere apparire forte e potente, capace di autodeterminazione senza dovere chiedere ad alcuno.
Eppure la vita dell’uomo è domanda, nasce quando si apre alla relazione, si entusiasma quando c’è il tocco dell’altro quello che non dice possesso ma dono e accoglienza. È vero, tanto sembriamo oggi analfabeti e stranieri a quella parola e a quei gesti che hanno mostrato il volto dell’amore, quello per cui, nel profondo, è fatto ogni essere umano.