Oct
24
2015
Il cieco di Gerico mostra l’inquietudine dell’animo umano, quella tensione interiore che fa anelare ad una condizione diversa: dall’essere cieco rassegnato nella mendicanza, all’essere cieco desideroso di trovare luce nel Signore. Non è l’inquietudine vittimistica di chi si ripiega in se stesso e dispera, perché nessuno si accorge di lui, ma è il desiderio di vita buona che fa della vita una ricerca di senso profondo al di là delle ferite o degli errori commessi.
La consapevolezza della propria fragilità, infatti, può diventare punto di forza per andare incontro all’altro con umiltà di cuore. È quel che accade a quest’uomo divenuto cieco, sappiamo come nella Scrittura la cecità ha un’implicanza spirituale, cieco è l’uomo che vive nel peccato e non ha la Parola di Dio quale luce per il suo cammino.
Lo troviamo mendicante, con il mantello su cui poggia di giorno e con il quale si copre di notte. È il suo appoggio ed il suo riparo, ma quella condizione lo blocca, infatti è seduto. Non si ferma però, all’udire che Gesù stava per passare ecco che si attiva. Proprio l’udito è il senso della fede, senza ascolto non c’è apertura all’Altro che viene, senza ascolto si rimane autoreferenziali, senza ascolto non c’è spazio libero per la novità di Dio.
Grida quest’uomo, è la preghiera che si innalza a Dio, non può tacere chi sa di non avere vita senza Dio. Il grido è un chiamare per nome Dio, è l’unico nel Vangelo a chiamarlo Gesù, è il desiderio di una relazione personale a partire dalla verità su se stessi e sull’altro: “abbi pietà di me peccatore”. Bartimeo riconosce il proprio peccato, la sua condizione di debolezza e la condizione di misericordia propria di Gesù. Non ha vergogna a riconoscersi peccatore, sa della propria fragilità ma anche del desiderio che Dio ha per la sua creatura perduta.
C’è da chiarire a tal proposito, che l’uomo è costituzionalmente fragile e cioè bisognoso dell’altro, e questa consapevolezza permette le relazioni così come l’amore. Il dramma nasce quando l’uomo cerca di diventare forte, potente, perché si etichetta come “debole”. La ricerca, a quel punto, diventa un continuo superarsi, vivere con astio la propria condizione, misconoscendo la propria debolezza con una parvenza di forza e dominio sull’altro. Bartimeo è fragile ma, ora, non ha più paura della propria debolezza!
Viene rimproverato dai discepoli, quel grido è l’osare della fede che “scombussola” chi cerca di pianificare e costringere Gesù a percorsi meritocratici. Infatti i discepoli poco prima (lo abbiamo ascoltato domenica scorsa) stavano a discutere su chi tra loro fosse il più grande, chi avrebbe dovuto prendere i primi posti. Fermarsi a dare retta ad un cieco mendicante equivaleva a distrarre Gesù da tali considerazioni “così prioritarie” o, ancora, a dovere spartire la pianificazione con altri. I discepoli sono ancora confusi sul significato di quel viaggio che li stava portando a Gerusalemme, in realtà loro troveranno Luce solo dopo la Pasqua.
Gesù arresta il cammino, quella sosta esprime già il senso della meta. Interessante notare come i discepoli chiamandolo per conto di Gesù, gli dicano: “Coraggio, svegliati, ti chiama”. Lo invitano a fidarsi e a non avere paura, a svegliarsi dal sonno, e rispondere. Sono verbi indicativi del discepolato, lo stanno invitando a vivere quello che loro, ancora, non riescono a vivere. È qualcosa di simile a quel che avviene quando si spezza la Parola, durante un’omelia, e noi sacerdoti veniamo interpellati dal Vangelo che stiamo commentando.
Il cieco balza in piedi e abbandonando il mantello si presenta innanzi a Gesù. Lascia ciò che costituisce la sua sicurezza, proprio il mantello che per l’uomo di quel tempo era il tutto, tanto che non poteva essere requisito neanche a motivo dei debiti non pagati. La garanzia della sua vita ora è l’incontro con Gesù. Balza in piedi, è l’atteggiamento del discepolo, la sentinella pronta al cammino nella notte.
Gesù incontratolo gli chiede cosa lui voglia ed è ancora sorprendente la risposta di quest’uomo: “Che io veda”. Letteralmente, dal greco, che “io possa volgere lo sguardo in alto”. È una prospettiva di vita quella che chiede, un modo di stare nel cammino della propria esistenza seguendo Dio.
Il cieco che lascia il mantello per tornare a vedere è metafora di ogni essere umano, tutti noi siamo chiamati a lasciare ciò che è appoggio e apparentemente luce della propria vita, per ritrovare la vista nel cammino da discepoli. È per strada, dietro il Maestro, che ciascuno torna a vedere.