nov
9
2014

L'uomo dimora di Dio

  Oggi è la festa della Dedicazione della Basilica lateranense, la Cattedrale del Vescovo di Roma e, proprio per questo, festa in tutto l’ecumene cattolico. Ci viene annunciato il Vangelo della cacciata dei venditori al Tempio (Gv 2, 13-22), episodio che merita una lettura profonda per cogliere appieno la significatività del gesto.
      Il tempio di Gerusalemme è il luogo dove Israele apprende la Legge, ritrova il rapporto con Dio attraverso la preghiera e le offerte per poi tornare alla quotidianità. È da intendersi, come ci ricorda Ezechiele (47, 1ss) nella prima lettura, quale sorgente le cui acque irrorano tutta la regione nutrendo piante medicamentose. Dal tempio l’umanità viene “contaminata” e, attraverso questo contagio, si nutre e guarisce. 
       È “la Pasqua dei giudei”, la prima di cui parla l’evangelista Giovanni, la Festa della liberazione e dell’appartenenza piena a Dio. Questa festività in modo speciale rappresenta l’identità di ogni israelita, proprio perché riconosce l’appartenenza al Dio liberatore. Come a dire: “sono israelita perché appartenente al popolo di Dio liberato dalla schiavitù”.
       La questione con cui si confronta Gesù è abbastanza complessa in quanto l’offerta prescritta dalla Legge era diventata un grande “affare”. Al tempo di Erode Gerusalemme contava almeno sessantamila persone e il Tempio, da lui fatto restaurare ed ampliare, occupava un sesto della superficie della Città. Si stimano circa ventimila agnelli uccisi durante la Pasqua e più di centomila pellegrini che arrivano a Gerusalemme. È pertanto che la spianata del Tempio era diventata un grande mercato, si vendevano gli animali (agnelli, buoi, colombe) per il sacrificio, si cambiavano le monete romane che non potevano essere portate dentro il tempio, per la tassa da versare, perché riportavano l’effige dell’imperatore.
       Un viavai di gente e di mercanti che guadagnavano facendo trarre profitto anche ai sacerdoti del tempio. Con l’espressione “la Pasqua dei giudei”, infatti, non si intendeva tanto la festa del popolo ma dei capi religiosi che, di fatto, avevano organizzato il loro business sulle spalle del popolo.
       In fondo era successo quello che accade ai nostri giorni, al centro non c’era più il luogo di preghiera ma il mercato, allora era proprio a ridosso del tempio giustificando la necessità dell’offerta oggi, invece, i centri commerciali sorgono su nuove aree che vengono a costituire la piazza della nuova polis.
Attorno a tutto questo malaffare si insinua anche la mentalità superstiziosa di “pesare” Dio, cioè di dare a Dio un prezzo. L’offerta da mostrare diventava un modo per raccontarsi che Dio era dalla propria parte, Lui doveva vedere l’apparenza del gesto! Il punto è che Dio nota l’obolo della vedova riconoscendo l’intenzione del cuore e non fermandosi alle apparenze. È questo sguardo profondo che porterà Gesù a procurarsi una frusta per mandare per aria il tutto. È una religiosità pagana quella, che manca di un vero rapporto con Dio.
        Inevitabilmente il pensiero va a certi matrimoni, di oggi, che si rivelano solo una grande parata ma privi di fiducia nella paternità di Dio, privi di Comunione. Gesù mostra una profezia che manda per aria le mode opportunistiche e di facciata. È una denuncia che interpella l’operato di noi presbiteri, ai nostri giorni, quando finiamo con l’essere dei burocrati del sacro, ammaliati dalla tassa sacramentale di turno.
       Gesù dirà ancora,“Togliete queste cose da qui, non fate della casa del Padre mio una casa di mercato”. Si riferisce a Dio quale “Padre mio”, è questa relazione che gli dà autorevolezza ed è questa relazione che vuole restituire verità a quel luogo di incontro: è la casa del Padre ove ciascuno è chiamato a riconoscersi figlio e non approfittatore nei confronti dell’altro. Il rapporto con il Padre ha una immediata ricaduta nel rapporto con il prossimo ove ciascuno è chiamato a riconoscersi fratello. La Pasqua è proprio il tempo dell’uscire fuori e, pertanto, lasciare lo stato di prima. È un purificare per indossare solo l’essenziale, torna l’espressione “lo zelo per la tua casa mi divorerà”: la cura per le cose di Dio comporta un lasciare tutto ciò che non gli appartiene.
      Questo tempio, o meglio il modo di viverlo, deve essere distrutto e, a quel punto, Lui lo riedificherà. È il suo Corpo la nuova dimora di Dio, il tempio in cui incontrare Dio è proprio il Corpo di Cristo. Ma cosa è da purificare? Il cuore dell’uomo, lo stesso cuore che trama inganni e commerci per dominare sull’altro. Cristo conosce cosa c’è nel cuore dell’uomo ed è questo intrallazzo ad essere d’impedimento al dono di Dio. Bisogna recuperare il senso della propria identità ed appartenenza, l’essere consacrati, “dedicati” al Signore. È questo il senso della festa della Dedicazione della Basilica Lateranense che celebriamo oggi.  
      La Chiesa di San Giovanni al Laterano fu la prima Chiesa ufficialmente dedicata al culto cristiano, ove la chiesa nel IV secolo poté finalmente celebrare apertamente l’Eucarestia. Fino ad allora l’impero romano vietava il culto cristiano proprio perché il cristianesimo si opponeva al paganesimo dell’impero. Pensiamo a quei cristiani che per tre secoli furono costretti a celebrare segretamente con il rischio di essere uccisi a motivo della loro professione di fede. Il 9 novembre 324 segna una svolta per il cristianesimo, risuona ancora oggi la gioia e la commozione di quel giorno. Il sangue dei martiri ha partecipato al processo di purificazione pienamente realizzato da Cristo ma che va quotidianamente custodito e rinnovato, e ciò è possibile attingendo puntualmente alle sorgenti della Salvezza. È la storia di oggi, la nostra!

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