Jun
1
2013
Il Vangelo di questa Domenica (Lc 9, 12-17) Solennità del Corpus Domini è un invito a tornare alla Fonte, ad immergerci nel Signore della vita per trovare dimora e da lì tornare ad operare in modo nuovo.
Questa esperienza potrà farci uscire dal senso di impotenza proprio di questi giorni in cui vediamo tanti che, segnati dalla disoccupazione, dalla crisi familiare, politica e valoriale, si ritirano sfiduciati come se non ci fosse più speranza per vivere il proprio oggi aprendosi al domani. Di fronte alla tristezza di questo tempo storico il Vangelo ci mostra una Luce nuova che, se accolta, può diventare gioia nel nostro oggi.
Gli apostoli tornano dalla loro missione, sono stati inviati da Gesù e lo stesso fatto di essere suoi discepoli diventa per loro occasione di annuncio, la loro vita dice qualcosa perché seguono il Maestro, non hanno risposte in loro stessi, ma è la sua Parola che cercano ed annunciano. La Parola ci interpella, quando la annunciamo la andiamo comprendendo sempre più perché e viva e continua ad interpellare la nostra vita.
Le folle hanno un bisogno, sono affamate! Ricordiamo come Cristo si confronta nel deserto con la sottile tentazione di sfamarsi in modo improprio, mangiare ciò che toglie la vita anziché darla. Dio non nega il fatto che abbiamo fame anzi la riconosce e se ne prende cura.
Gesù accoglie la folla e poi parla loro, è un passaggio saliente: non possiamo parlare ad altri se prima non li abbiamo accolti. Altrimenti ci ergeremmo a giudici, maestri che parlano dall’alto sentendosi superiori, persone che non trasmettono perché non hanno dato spazio all’altro. La Parola di Dio ha il suo centro nell’amore, fino a quando non impareremo a fare spazio dentro per accogliere l’altro allora non saremo capaci di donare la Parola perché ne tradiremmo implicitamente il significato.
A quel punto si pone una questione, gli apostoli sono discepoli di Gesù ma ancora non si sono dati pienamente, tengono per sé e proprio per questo ragionano in termini di “compra/vendita” come se la vita fosse questione di comprare per avere e quindi di potere economico. Gli apostoli hanno consapevolezza che non sono in grado di sfamare altri, anche loro hanno fame, e pensano di non avere nulla per gli altri. Fino a quando ciascuno si mette al centro della relazione con l’altro allora farà dipendere questo rapporto dalle proprie o altrui forze, ma in realtà la risposta alla relazione con l’altro al bisogno dell’altro non è quantitativa, di risorse da trovare in sé, ma di fiducia in Dio.
Fino a quando penseremo la vita in termini di “possesso” non riusciremo ad incontrare o lasciarci incontrare dall’altro. Se pensiamo in termini di “avere” allora possiamo passare al “dare”, ciò che sono e ho è dono di un Altro e, proprio per questo, posso donarlo a mia volta. La vita diventa rendimento di grazie, Eucarestia appunto e per questo gratitudine rivolta a Dio.
Gli apostoli sanno che quei pani e quei pesci possono bastare per loro ma non per la folla, si tratta di entrare nella logica del perdere qualcosa per avere altro, è la logica del dono ed è possibile scoprirla entrando in relazione nuova con Lui.
Quando sperimentiamo la difficoltà anziché turbarci e cadere in depressione abbiamo bisogno di cercare la nostra relazione con Dio. Non abbiamo risposte da noi stessi, quando siamo noi il criterio di confronto allora le angosce crescono, piuttosto è di Lui che abbiamo bisogno per trovare vie nuove. Gesù risponde alla domanda dell’uomo e la prima risposta è quella di farli “adagiare”. È il termine usato per il pasto serale o comunque per i lunghi banchetti ove si poteva stare per più tempo, a pranzo normalmente ci si sedeva. C’è un disporsi a vivere il tempo della comunione e della condivisione. Non è di fretta che si può vivere l’incontro con Dio, accogliere la sua Presenza. Ci sono fami che vengono saziate velocemente, come ad un fastfood ove il tempo è denaro e lo sfamarsi è senza condivisione, nel silenzio e nell’anonimato. È il luogo in cui ciascuno pensa per sé e teme che gli altri possano togliergli qualcosa.
Ora Gesù dice loro di divedere quel pane e quei pesci, non si tratta di moltiplicare o ampliare così come spesso si fa per riempirsi sempre di più del possesso, qua è un dividere dove ci perdi, perdi ciò che fino a poco prima era tuo e sorreggeva la tua vita. Gesù aveva detto loro “Date voi stessi da mangiare” non cose che sono al di fuori ma se stessi, è questo il cambiamento della vita cristiana.
L’esperienza di fede è proprio questa, entrare in relazione con Dio e stare in questa relazione, prendersene cura perché ci nutre e se ci nutriamo noi allora diventeremo nutrimento anche per gli altri. perché il mondo ha fame di Bene, le persone che ci circondano e stanno male è perché ancora non hanno incontrato Dio, non fanno esperienza di fede, gli manca la relazione centrale della loro vita e allora vagano mendicando relazioni con cose o persone da possedere!
Sant’Agostino ricorda come Gesù prima nasce in Maria e poi nasce da lei, se non lo si accoglie dentro non lo si può dare. Il “fiat” è per accoglierlo in noi, poi se nasce allora conseguenzialmente diventerà dono, perché la relazione con Lui è Dono.
I primi cristiani fanno questa esperienza ed è per questo che negli Atti degli Apostoli (4,32) si dice che mettevano in comune ogni cosa, la loro vita era condivisione perché avevano accolto Gesù. Il punto è riconoscere Gesù come nostro “Signore”. Etimologicamente Kyrios significa “proprietario”, chi può relazionarsi come proprietario, colui che detiene il potere, il signore legittimo ed in particolare il termine indicava il “padrone buono” a differenza del “despotès”. Permettere a Dio di diventare il nostro Signore significa consegnarsi a Lui, affidarsi totalmente a Lui e, al contempo, accoglierlo pienamente nella propria vita. L’Eucarestia è questo, diventare un solo Corpo, la mia corporeità esprime Lui, “Tempio dello Spirito” a questo siamo chiamati. L’Eucarestia non è “semplicemente” da contemplare, è da accogliere nella propria vita, a quel punto tutto si affronta con Lui dentro, non cercherò consiglio altrove.
Per compiere questo spostamento è necessario poggiare la propria vita in Dio, i nostri “si” a Lui sono state esperienza di profonda libertà e verità. Il punto è che poi recuperiamo perché lasciamo entrare seduzioni, paure, e allora cerchiamo di consolare e riempire noi stessi con cose e/o persone. Un “si” part time non ci cambia la vita, perché poi torniamo molto più indietro di prima e questo vale per ogni cristiano, per un consacrato, un prete o uno sposato. Della bellezza e libertà dell’essere figli di Dio ci si può dimenticare.
Non si tratta di fare cose per Dio, neanche imparare la dottrina o ascoltare ogni giorno le omelie di Papa Francesco e parlarne poi con tutti, non è questione di chiacchiera ma di vita consegnata.
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