lug
24
2016

Appartenere per appartenersi

       La preghiera è esperienza di comunione, appartenenza all’unico Corpo di Cristo. È questa la relazione che caratterizza il cristiano, il legame di condivisione con il Dio misericordioso, con Lui che si è incarnato per donarsi ed accogliere a sé ogni essere umano.

La Parola di questa domenica, diciassettesima del Tempo ordinario, fa chiarezza su quel che significa relazione filiale e non da schiavi, con Dio. Mentre scribi e farisei del tempo erano ligi ad un’osservanza fondata su leggi e precetti ma senza alcuna relazione, Gesù mostra cosa significa vivere da figli pienamente affidati al Padre che è nei cieli.

Già la prima lettura di oggi, Gn 18, 20ss., riporta la supplica di Abramo che intercede per il popolo di Sodoma e Gomorra. Gente che ha smarrito la strada avviluppata nella vita dissoluta, dove l’uno è abusato dall’altro e le relazioni sono oggetto di potere e di consumo. Eppure l’uomo di Dio prega, chiede al suo Signore la salvezza per loro.

Ecco, Abramo guarda l’altro secondo lo sguardo di misericordia proprio di Dio. Sa che Lui è “tardo all’ira e ricco nell’amore”, cioè paziente perché attende fino all’ultimo momento affinché la creatura possa aprire il cuore al Bene. L’interesse di Do non è la punizione o il cogliere in fallo come a cercare soddisfazione per lo sbaglio altrui.

Altra logica è quella dell’uomo che si fa giusto e si erge a giudice dell’altro. È questo il motivo per cui Gesù stesso sarà condannato: perché “mangia con pubblicani e peccatori”. Il criterio di grandezza di questo mondo si scontra con l’umiltà di Dio, Lui si china e l’uomo, al contrario, vorrebbe ergersi da solo.

Significativo scoprire che la preghiera per eccellenza, il “Padre nostro” (Lc 11, 1ss.) è preghiera in prima persona plurale, è nella forma del “noi” ad elevarsi al cielo. Come ad intendere che l’uomo incontra Dio se si eleva portando l’altro con sé: non esiste preghiera in prospettiva solipsistica, l’intimismo religioso appartiene ad alcune correnti di auto-affermazione in cui anche le tecniche meditative sono relative al proprio benessere autoreferenziale!

A tal proposito la società dei consumi promuove l’individualismo, la massificazione priva di relazione, la comunità commerciale fondata sui prodotti e non sui volti.

Mentre molti vorrebbero far credere che il cristianesimo è fuori moda, credo che piuttosto il cristianesimo oggi sia una delle poche spinte controcorrente, di certo la più rivoluzionaria.

Non si tratta tanto di un’ideologia, si pensi  che pure il collettivismo marxista si è rivelato luogo di estremo potere e di schiavizzazione dell’essere umano, piuttosto è esperienza di vita fondata su uno sguardo prospettico.

È l’orizzonte della meta a dare luce e senso al quotidiano. Il dono del Regno di Dio è esperienza di eredità e non di conquista. Il cristiano, man mano, abbandona le varie battaglie di potere volte a prevalere sull’altro o a rivendicare un nome. L’esperienza della misericordia di Dio colma la vita di gratitudine, ed è così che l’altro non è più percepito quale rivale ma come persona a cui mostrare un’opportunità di salvezza e di vita piena.

Abramo lotta affinché l’umanità ferita dal peccato ritrovi la Luce, quella vera. Sarebbe da chiedersi: io per cosa sto lottando?

Torna in mente l’immagine del fratello del figliol prodigo. Il minore aveva sperperato gli averi del padre in una vita dissoluta e, poi, ravvedutosi era tornato a casa e inaspettatamente aveva trovato il padre pronto ad accoglierlo e fare festa.

Lui invece rimane fuori, prova invidia e rabbia perché il padre ha accolto il figlio che si era divertito con le prostitute. Ecco il cuore dell’uomo che si fa “giusto”, non riconosce la sofferenza del fratello a motivo del peccato, è rimasto a casa ma vive secondo i doveri e non si nutre dell’amore del padre. L’uomo che scopre la preghiera nella sua vita, si commuove nel contemplare il Volto del Padre e si presenta a Lui da figlio, presentandogli la propria fragilità e la propria ricchezza. 

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