giu
8
2013

Riscoprire il Dono della vita

         L’immagine che ci viene proposta dal Vangelo (Lc 7, 11-17) di questa domenica è quella di un Incontro: tra un corteo di vita ed un corteo di morte. Gesù insieme ai discepoli e ai testimoni degli eventi di misericordia da Lui operati va verso una Città, Nain. C’è il muoversi di Dio che è un cercare gli angoli più oscuri, tenebrosi, della vicenda umana. Lui vuole incontrare l’uomo perduto, afflitto, tormentato dal dolore e dal fallimento totale qual è la morte.
        Dio è cercatore, non si rassegna, e in questo caso trova una persona che rappresenta quanto di più grave possa accadere all’umanità, pertanto rappresenta tutti chi ha sofferto poco così come chi ha sofferto molto e, in ogni caso, rappresenta tutta l’umanità che si confronta con il dramma della morte. La donna ha perso gli affetti più cari, il marito ed il figlio e ora sta accompagnando quest’ultimo all’uscita della città. C’è una tristezza, una mestizia nella vita umana che è data da una consapevolezza: tutto passa, le opere, ciò che posso fare, quello che posso costruire, le stesse persone che conosco e che amo, tutto passa! Ora fare uscire dalla città, significa fare uscire dalla propria quotidianità, la città è il luogo in cui si vive, mettere fuori equivale ad escludere. Pensiamo all’annosa questione dell’immigrazione, li espatriamo per non averli più innanzi ed è un modo per tenerli fuori dalla nostra vita, farli morire per noi e, di fatto, sappiamo di molti che sono morti attraverso questa ri-consegna alla Nazione di provenienza.
        Tornando all’episodio evangelico Gesù sta per entrare in città, il suo entrare nella nostra quotidianità è un portare vita nuova, permette la riscoperta di tutto, opere ed eventi, in funzione della vita. Allora la vita non sarà più “tempo da far fruttare economicamente”, ricerca per ottenere potere, posizione, o un nome sociale per dimostrare che si ha diritto a vivere e che si è persone importanti, o ancora scalata per arrivare a convincersi che la propria vita ha avuto un senso: “ho fatto grandi cose e per questo la mia vita è stata piena”. Lui restituisce dignità ad ogni cosa, ad ogni persona, nulla è perduto se è nel Bene, ciò che è frutto dell’Amore è eterno.
         Gesù non permette a questa donna di portare fuori dalla città il suo passato, di separarsi dalla sua storia come se fosse luogo di morte e non le rimanesse solo che il pianto. Lui si commuove, accoglie dentro di sé il vissuto di questa donna, non le rimane estraneo, l’accoglie e le restituisce luce: “Non piangere”. C’è un pianto che è solo sconforto, solitudine e delusione di vita, il pianto di chi non spera più. Anche Gesù piangerà ma la sua speranza non viene meno, è il pianto di chi ama e, proprio per questo, va oltre la morte.
         Gesù tocca la bara, questo era proibito perché equivaleva a contaminarsi, per questo che venivano imbiancati i sepolcri proprio per essere ben visibili e non essere toccati dai viandanti. Dio tocca la nostra morte, i fallimenti della nostra vita, le delusioni e la perdita di tutto. L’incontro fa arrestare il corteo funebre, questa fuga dal mondo, dalla vita reale è arrestata dalla presenza di Gesù che è vita, tutta intera nella sua profondità.
        “Giovinetto, io ti dico, destati”: è il risorgere, l’uscire fuori dal luogo di morte. Morire significa poggiare tutta la propria vita su se stessi, l’ego-centrismo proprio del peccato procura questa esperienza. Ma chi recupera la vista sa che la vita non ce la siamo dati da noi stessi, è un regalo di Dio, è impensabile asserire che “la mia vita è frutto della mia volontà”, a ciascuno accade di esistere e, al contempo, è affidata la propria vita. Il fatto che siamo custodi della nostra vita non significa che ne siamo i proprietari in senso possessivo. La vita di ciascuno è dono e rimane tale, il peccato ci fa perdere questa verità.
        Il Padre ci dona la vita perché possiamo avere la comunione piena, così come meditavamo qualche giorno fa nella Solennità del Cuore di Gesù http://www.larelazionechecura.it/post/Il-Cercatore-degli-ultimi.aspx “Giovanetto io ti dico alzati”: c’è una chiamata straordinaria, Lui ci chiama ad alzarci e quindi riconoscerci suoi figli, a stare al suo cospetto guardando colui che ci ama.
         Lui si alza e si mette a parlare, risponde, entra in relazione con Gesù. Chi ascolta risponde, la vita è entrare in relazione comunicarsi, partendo dalla propria esperienza di resurrezione. Altrimenti i nostri racconti potrebbero essere racconti tristi, comunicati per piangersi addosso o per assumere la posizione di vittima ed avere riconoscimento attraverso la compassione altrui. No, l’annunzio, il nostro parlare, il modo di rapportarci agli altri è diverso se parte da questa esperienza di incontro.

         È questa l’esperienza cristiana, è di questa Luce che parla la Scrittura riferendosi al popolo di Dio ed alla Chiesa. La pagina del Vangelo, infatti, si conclude annotando che la parola di questi eventi uscì da quella città per diffondersi in tutta la regione. E ancora oggi questa Parola viene annunciata a noi e, una volta accolta nella nostra vita, ne diventiamo i portatori, l’annunciamo ad altri. La missione della Chiesa: destarsi dal sonno per restituire Verità a questo mondo.

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