Jan
31
2016
Una pagina di profonda tenerezza è quella che apre la Parola di Dio di questa IV domenica del tempo ordinario con la dichiarazione che Dio fa a Geremia: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto» (Ger 1, 4ss).
Pensare che il Padre vive in attesa dei figli che ancora non sono, è il desiderio di Dio a precedere la vita di ogni essere umano!
Sentirsi desiderati è la forza che regge la vita di ogni persona e questo riconoscimento legittima la missione che, successivamente, Dio affida: «oggi io faccio di te come una città fortificata… contro tutto il paese». Seppure a primo acchito potrebbe passare un’immagine guerresca in realtà è una chiarificazione che permette di dare ordine e forza alle cose della vita.
Fino a quando cercheremo nell’altro il riconoscimento che solo Dio può attribuirci, l’esistenza trascorrerà in una sorta di mendicanza e, conseguentemente, aggressività per la delusione ricevuta.
L’illusione dell’altro “appagante” viene tradita dalla realtà dei giorni. Al contrario, scoprire e nutrire la relazione con Dio permette di convivere con la fragilità propria ed altrui, fino a sperimentare la bellezza dell’amore, quello gratuito, che il Signore offre anche ai nemici.
So che non è esperienza facile, ma tante battaglie spesso ruotano attorno a “cause perse”, cioè non fanno altro che assorbire le proprie forze senza lasciare alcuna luce dentro e attorno a sé.
Se manteniamo la relazione con Dio ogni cosa può diventare occasione di ulteriore intimità con Lui. La via umana non è mai lasciata in balìa del caso, la vita non è fortuita ma precaria e il modo di vivere questa esperienza di fragilità costituisce la differenza cristiana.
Fino a quando l’uomo lotterà con le sue sole forze e per cause autoreferenziali allora si ritroverà ad arrabbiarsi e a scontrarsi con la realtà avversa, senza trovare soluzione.
Nella pagina del Vangelo (Lc 4, 21-30) di questa domenica troviamo qualcosa di sorprendente rispetto a quanto era emerso domenica scorsa. Dapprima Gesù era stato accolto, ascoltato, e aveva destato stupore il suo dire. Era l’esperienza corrispettiva a molti “mi piace” dei nostri giorni, si coglie il primo gusto ma quando quell’idea condivisa richiede un coinvolgimento personale ecco che si passa alla resistenza e al cambiare pagina. È la cultura dell’usa e getta che alla minima frustrazione fa abbandonare quella relazione con cose o persone.
A volte si trovano cristiani fruitori della Parola di Dio, dei sacramenti o delle intense preghiere. Spettatori del bello che, però, non si lasciano toccare in profondità per non perdere il loro stile di vita. Ricercatori di emozioni, di apparizioni e miracoli a buon mercato su cui ergersi per tornare a parlare di sé.
Ora troviamo una opposizione pretestuosa: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Equivale a dire: “Come può uno di noi dire queste cose?”. Se lui può dire e vivere veramente tutto ciò, significa che anche noi potremmo farlo e cadrebbero, così, tutti gli alibi e le scuse per rimanere nella logica della difesa del “mio/io”. È più facile dire “Ma io non sono Dio, non sono un santo… Dio può tutto, io no!”.
Quando l’uomo non è disposto a rinunciare al proprio ego, si industria per trovare pretesti utili a demolire l’altro, ad allontanarlo da sé. Ma cosa aveva detto Gesù di così tanto temibile?
Aveva commentato un passo di Isaia con le parole: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Il testo in questione fa di Gesù il portatore di un lieto messaggio per i poveri, la liberazione per i prigionieri, la vista per i ciechi, un anno di grazia del Signore. Ciò significava che era iniziato l’anno giubilare in cui a ciascuno veniva condonato il debito e veniva ripartita la terra. È una prospettiva che esula dal carrierismo, è ben distante dalle logiche di potere per cui spesso lotta l’umanità.
Loro sono scandalizzati per quelle parole, non è possibile che si stia realizzando tutto ciò. Fino a quando preghi per il Giubileo e si ascoltano intense meditazioni sulla Misericordia allora ci si sente tutti cristiani e più buoni, compiaciuti dell’appartenenza a Cristo. Quando, però, il Vangelo nella sua Verità viene ad interpellare ciascuno, chiedendo di non cercare garanzie di turno e di lasciare ogni attaccamento per poggiare in Cristo Gesù, allora il Vangelo diventa scomodo e la vicinanza di Gesù indesiderata.
Eppure «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato», la Luce è venuta nel mondo ed è venuta ad illuminare ogni trama e ridestare alla verità il cammino dell’uomo. Ora sta a ciascuno lasciarsi illuminare dalla Parola di vita o rimanere imbrigliato nelle trame dei sottili ragionamenti di questo mondo.